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Vecchia su Volvo rossa.
Un racconto di Francesco Elisei.
(diviso in dieci capitoli)
Cap 1.Omicidio
Lella riprese i sensi e la prima cosa che percepì fu l’umido
della terra sotto il suo sedere e il buio intorno a lei, poi realizzò di non
essere sola dentro quel capannone (capannone abbandonato, zona industriale
forse?), qualcuno la sorreggeva da dietro, la teneva da sotto le ascelle,
qualcun altro era chinato dinanzi a lei…ma cosa stava succedendo? Un ago, mmioddio, l’ago in vena, mi stanno
iniettando della roba. Sentì che aveva la forza per divincolarsi e, appena lo
fece, le mani dei due energumeni le si serrarono addosso.
-Calma bambolina, non agitarti , la festa è appena
cominciata!
Il capannone era al buio ma i raggi lunari penetravano
agevolmente dai finestroni, vide in faccia i due scagnozzi e le si gelò il
sangue perché li conosceva.
-Polpetta, Incatramato! Ma che cazzo mi state facendo!
L’indignazione stava di gran lunga superando la sorpresa e
la paura: i tirapiedi di suo fratello, quegli stupidi galoppini avevano osato
mettere le mani addosso a lei, Lella Mezzacapa?
Non vomitò loro addosso il fiume d’improperi e minacce che
si sarebbero ben meritati perché fu invasa da un calore diffuso e da una
sensazione di benessere incipiente, l’avevano
“fatta sballare”, le avevano iniettato la
merda che lei e suo fratello stavano capillarmente diffondendo, da ben due
mesi, in ogni angolo di Ostia.
Ora il soffitto del capannone era diventato incandescente,
c’era della lava che stava colando dall’alto e lei stava godendo, o se sono fatta o come sono fatta mi si sta
squagliando la passera, e più il suo corpo si crogiolava nel piacere e più
si stava definendo la consapevolezza che la stavano ammazzando, suo fratello
Larry aveva dato l’ordine di ammazzarla, quel piccolo bastardo ingrato!
Cap 2.Senso di colpa
La porta della villetta s’aprì e Larry e Tabita erano finalmente
a casa.
La villetta era un cento metri quadri su due piani più una
cantina, ed era il vanto di Larry e il regno di Tabita.
Una villetta sul mare come tante altre a Lido di Ostia, solo
che questa era un via vai di “formiche” e luogotenenti che venivano in
udienza da Larry (al piano terra, di solito). Al piano superiore c’ era la zona
notte, occupata spesso da Tabita in canottiera e perizoma, quasi sempre
“fatta”.
Tabita era un’ex prostituta che aveva saputo stregare Larry
fino a diventarne la donna ufficiale.
E per lei Larry aveva speso un mucchio di denari, vero
Larry?
Ora, finita la pallosa incombenza del funerale della
sorella, e chiusa dietro di sé la porta di casa, un po’ per allontanare lo
spettro della morte, un po’ per il senso di trasgressione, un po’ perché i
funerali lo fanno venire duro ( dicesi rigor mortis), Larry e Tabita si stavano
facendo una ricca scopata in cucina.
Tabita amava scopare, era una cosa che le riusciva molto naturale,
la classica donna calda (o ninfomane se preferite); Larry mentre scopava
pensava sempre alla sorella, e il fatto che l’avesse appena seppellita rendeva
il tutto più macabro e/o eccitante.
Di solito Larry veniva con Tabita solo mettendoglielo nel
culo, e Tabita col suo infallibile intuito femminile iniziava a pensare che lui
avesse una specie di blocco verso la figa, era forse un ricchione represso?
Tabita non sospettava che per Larry l’ unica vagina
desiderabile fosse quella di sua sorella Lella (sorella-lella ah-ah); colpa di certi giochetti che Larry e Lella avevano
fatto da bambini e che avevano marchiato a fuoco la libidine di Larry.
Ora la vagina della sorella era due metri sottoterra e bella
fredda, fredda e rigida, l’avrebbero penetrata solo certi tipi d’insetti
necrofori…allora perché Larry ce l’aveva duro e stava per venire?
Lella era (era stata) più grande di lui, più svelta di lui
e, quando serviva, più crudele di lui; il padre, loro padre, Toni “lo squalo” Mezzacapa, aveva subito
puntato sulla figlia primogenita, lasciandole gestire, fin da quando lei aveva
vent’anni, le zoccole e lo spaccio di droga a Lido di Ostia, ma anche le public
relations con la famiglia dei Cuzzocrea.
Larry era più un uomo d’azione, un esecutore. Il cagnolino
di Lella, se vogliamo dirla tutta.
Poi Toni lo squalo era morto d infarto mentre era con
Leonarda la trans.
Poi nella vita di Larry era entrata Tabita.
Poi i soldi erano finiti, o meglio: poi i debiti avevano
superato i soldi che giravano per le mani di Larry.
(nel mentre Lella si era fidanzata con quel “medicuccio” da
strapazzo, quel finocchietto di Tancredi, ma questo Larry non lo ammette con se
stesso, è un pensiero sotterraneo, semisepolto, e con gl’insetti necrofori che
gli entrano dentro ah-aha!)
Quindi, aveva spedito Polpetta e Incatramato a suicidare Lella; prelevata davanti casa sua, quando stava per scendere
da quella stramba Volvo rossa, (dentro casa sarebbe stata ben protetta dai suoi
gorilla), messa nella giusta location e siringata coll’ Iguana, la loro droga
best seller da un paio di mesi o giù di lì.
Bella storia l’Iguana: parente stretta del Krocodil, ma
modificata con gusto tutto italiano,
desomorfina ibridata con cocaina tagliata, prezzo relativamente basso, effetto
garantito, poche controindicazioni, a parte un po’ di psoriasi, ça va sans
dire.
Invece sul Krocodil se ne dicevano tante, giravano parecchi
video su you tube, praticamente era una droga venduta in Russia a prezzi
stracciatissimi, una droga del popolo; il processo casalingo di derivazione
dalla codeina era piuttosto economico, ma lasciava nella droga finale un sacco
di sostanze nocive che causavano effetti devastanti alla pelle e all’apparato
circolatorio: si parlava di tossici a cui si staccavano porzioni di carne dalle ossa delle gambe.
A Lella non era stata iniettata una dose standard di Iguana,
ovvio, si era raccomandato col chimico di famiglia, Gigetto bei capelli, di
tagliare la dose con qualcosa di…aggressivo e di raddoppiare il tutto.
Un lavoretto pulito, per far contenti gli sbirri, poi, per
andare sul sicuro, il suicidio era stato
combinato di domenica pomeriggio, mentre il buon vecchio Larry era all’
Olimpico a godersi la partita e a farsi vedere da un mezzo centinaio di
testimoni.
Liscio come l’ olio, ora non restava che prendere in mano le
redini della famiglia, viziare Tabita e non pensare alla vagina rosa e
profumat…no! Basta con Lella! Era ora di godersi il culone aperto di Tabita,
era ora di crescere e godersi la vita, e che si fottessero tutti quanti!
Cap 3.Non seguirmi
Uno dei tanti giochetti che
facevano Larry e Tabita, era quello di scopare in macchina, nonostante
convivessero in una più che confortevole abitazione con solide mura di mattoni
e relativo tetto.
Di solito, si resta insieme ad
una donna come Tabita proprio perché i suoi giochetti da troia non danno il
tempo al tuo cervello di registrare il grado di sottomissione raggiunto
all’interno della coppia.
Scopare in macchina era anche un
bell’espediente per fuggire dallo stress del lavoro e dagli eventuali
rompicoglioni che suonavano il campanello in cerca di udienza, una fuga dalla
routine di tutti i giorni, insomma.
Lo facevano sempre alla pineta di
Castel Fusano; più avanti, proseguendo
per via Del Lido di Castel Porziano, c’erano zone per gay, bisex e scambisti,
ma Larry e Tabita trovavano più eccitante mimetizzarsi fra i clienti dei
“travoni” nello stradone dell’amore a pagamento.
Nella cerchia delle amicizie di
Larry si era a conoscenza di questa stravaganza, ma nessuno si sarebbe
azzardato ad andare a cercarlo lì, o perlomeno finora non si era presentata
nessuna emergenza che giustificasse un simile azzardo.
Dunque, erano ancora una volta in
macchina, nella pineta.
Questa volta non si erano “siringati”, come di solito a casa prima di fare sesso, in
quanto poi c ‘era da guidare, si erano quindi limitati a dividersi una canna, dopo,
Tabita era partita con la solita “pompa da puttana da strada”, per poi
cavalcare Larry con la consueta disinvoltura, ottimo sesso da fidanzati, anzi,
ottimo rapporto puttana-cliente.
Il sole stava tramontando
pigramente, erano i primi di ottobre e le giornate iniziavano ad accorciarsi. Rimesso
l’uccello al sicuro dentro le mutande, Larry accese la macchina, ingranò la
prima e si affacciò sulla strada principale; il suo cervello intorpidito
registrò distrattamente uno stridio di gomme, poi, notato con la coda
dell’occhio una macchia rossa in avvicinamento, Larry pestò con forza il pedale
del freno e si vide passare davanti gli occhi quella macchina.
La vide passare al rallentatore,
cioè, quella macchina sarà passata come minimo a settanta all’ora, tagliandogli
la strada, ma lui la vide sfilare davanti ai suoi occhi al rallentatore.
La Volvo rossa Polar 240.
L’unica Volvo Polar 240 rossa di
tutta Lido di Ostia.
La Volvo rossa di sua sorella.
La Volvo rossa che prima della
sorella era appartenuta a loro madre.
La Volvo rossa di cui Polpetta e
Incatramato avrebbero dovuto disfarsi, perché lui gliel’aveva detto chiaro e…
-Aoh! Che te sei incantato? A Lè?
Lè?! Torna sul pianeta terra, Lè?!
Larry sentiva che i coglioni gli
erano risaliti fin sullo stomaco, mentre le tempie gli pulsavano con una
violenza da emicrania fatale, guardò in faccia Tabita e si chiese se lui
potesse provare senso di colpa. Provarlo fino a materializzare un fantasma.
Cap4.Rimembranza
La Volvo Polar della mamma.
Anno d’immatricolazione: 1991,
comprata nuova, Dio solo sa perché, e Dio solo sa perché di colore rosso.
Guidata dalla mamma regolarmente
fumandoci dentro, e usata per trasportarci i suoi pargoletti Larry e Lella.
(Be’, non che li accompagnasse così spesso, a dirla tutta.)
Parcheggiata regolarmente in
garage, e usata dai due fratellini come luogo preferito per giocare; un
carrozzone del genere (parliamo di una station wagon svedese lunga quattro
metri e ottocentoquarantaquattro) poteva agevolmente diventare un’astronave di
Guerre Stellari, un sottomarino, oppure un treno…
Larry si ricordava bene i sedili
in velluto, dove era comodo giocare al dottore con la sorellina e sui quali
Lella si divertiva a toccargli il pistolino…
La mamma se ne andò via a
quarantuno anni per un ictus fulminante, alle otto di mattina, mentre con la
sinistra, una Marlboro senza filtro fra medio e anulare, reggeva il vasetto del
budino alla vaniglia e con la destra portava il cucchiaino alla bocca, gli
occhi puntati sulla televendita del coltello taglia tutto in tv.
Di lei rimase quell’ingombrante,
squadrato macchinone svedese parcheggiato in garage.
Papà Toni lo squalo rimosse ben
presto, dalla sua testa e dalla casa,
tutto quello che concerneva la moglie defunta e delegò tutte le relative
pratiche burocratiche e non a sua figlia Lella; Lella prese per sé la Volvo Polar.
La Volvo era l’ unica a sapere
quale tipo di contatti intimi c’ erano stati fra Larry e Lella (avvenuti da
grandicelli proprio a Lido di Castel Fusano).
A pensarci bene la Volvo era
anche l’unica testimone del rapimento di Lella.
La macchina, in effetti, dopo la
morte della sorella, era stata messa in vendita, ne aveva dato l’incarico ai
soliti Incatramato e Polpetta, ma perché
cazzo invece non aveva dato ordine di bruciare quella maledetta automobile?
Aveva chiamato Polpetta e si era
fatto dare il nome e l’indirizzo del tizio che l’aveva acquistata, doveva per
forza essere la solita auto, a Lido di Ostia solo quella c’era.Sarebbe andato a
fare una visita di cortesia, tanto per ristabilire il giusto ordine delle cose
e per smettere di fantasticare su sua sorella che tornava dall’aldilà guidando
un’automobile infernale (c’era mica un
fumetto con la medesima trama? O forse era un film? Doveva indagare).
Cap 5.La vecchia
La mattina dopo Larry e Tabita si
alzarono di buon’ora, le dieci e trenta circa, poi Larry si rese conto che a
quell’ora c’erano poche probabilità di trovare il tizio a casa sua, quindi
fumarono un po’ di bamba e si
rimisero a letto, verso l’una si rialzarono, montarono in macchina (una Bmw Serie
3 blu metallizzato) e impostarono l’indirizzo sul navigatore.
Il tizio abitava in un condominio
sito in una stradina stipata di condominii, terzo piano; l’idea era di far
suonare il campanello a Tabita, che al citofono avrebbe detto di essere un
vigile urbano mandato dall’ufficio anagrafe, il tizio, preso alla sprovvista,
avrebbe aperto e, ovviamente, con Tabita sarebbe salito su anche Larry, tanto
per fare quattro chiacchiere.
Arrivarono all’indirizzo del
tizio, Larry parcheggiò in un posteggio per handicappati e fece scendere
Tabita, lui l’avrebbe raggiunta cinque minuti dopo, tanto per non dare
nell’occhio.
Successe in un attimo.
La stava guardando attraversare
la strada, quando percepì un rombo di motore tristemente familiare, lo sentì
anche lei che girò, sempre camminando, la testa verso sinistra per guardare,
Larry invece rimase impietrito a fissare la schiena della sua compagna, come se
non volesse accettare quello che già aveva intuito.
Tabita iniziò a correre per
guadagnare il marciapiede e, nonostante
fosse tutto tranne una sportiva (sempre
che non si voglia includere fra gli sport olimpici la ginnastica da letto
ah-ah), lo raggiunse saltandoci sopra.
Sfortuna volle che quella
porzione di marciapiede fosse adiacente all’ingresso del cancello condominiale
per le automobili e che in quella porzione non ci fossero auto parcheggiate,
così la Volvo rossa ci montò agevolmente sopra, come nei peggiori film
americani, e cozzò col suo lungo muso squadrato l’anca sinistra di Tabita,
prima di spingerla giù e montarle addosso con entrambi i pneumatici di
sinistra. TUM-TURUTUM! Il corpo di
Tabita rimase a terra bello spiaccicato nel mezzo, mentre la Volvo filava via,
sterzando sulla strada.
No, questo Larry non se
l’aspettava. Si stava godendo dal suo posto in prima fila un bello spettacolo, ed
era ben lungi dall’essere finito.
Dopo aver fatto inversione chissà
dove, la Volvo rossa tornò indietro (stavolta nella regolare corsia di marcia)
ad una velocità di crociera di cinquantotto chilometri all’ ora, tanto per
farsi vedere bene bene.
Larry vide chiaramente chi c’era
al posto di guida, e non era sua sorella, bensì una vecchia con gli occhiali ed
una strana “cofana” di capelli biondi
in testa, malamente cotonati.
Poi la Volvo accelerò e sparì.
Larry finalmente si svegliò e fece l’ unica cosa che c’era da fare: accese il
suo Bmw e scappò via.
Cap6.Un mese dopo
Il mese successivo Larry lo passò
cercando di “farsi” il più possibile
per non pensare a che disastro era diventata la sua vita; avrebbe voluto farsi
ventiquattro ore su ventiquattro e, cazzo, pensava di meritarselo: tutti fanno
una vacanza almeno una volta all’anno, no?
Ma in realtà, si drogava “solo”
ogni notte e appena sveglio (si svegliava più o meno sempre all’orario di
pranzo, quando Incatramato si attaccava al campanello e Polpetta lo chiamava a
ripetizione sull’i-Phone).
Il resto della giornata, bene o
male, doveva seguire gli affari e doveva trasmettere una parvenza di lucidità,
prima che a qualcuno venissero idee balzane in testa e cercasse di farlo fuori,
e non si riferiva alla vecchia su Volvo rossa, o forse sì?
Gli stava sfuggendo la situazione
di mano, sua sorella se n’era andata, pace, così doveva essere, ma anche Tabita
se n’era andata, e pure male.
Adesso faceva sesso una volta a
settimana (più per salvare le apparenze coi suoi uomini che per divertimento) con
una delle puttane alle sue dipendenze, mai con la stessa, tanto per avere la
mente sgombra da qualsiasi tipo di legame vagamente affettivo.
Si divertiva più con la droga, a
dire la verità, ma il sesso gli mancava, forse era una specie di abitudine che
il suo cervello faticava ad abbandonare, e stava pensando di tentare
l’esperimento coi trans, per vedere se almeno con quelli avrebbe ritrovato il
brivido della trasgressione, magari il classico abbinamento coca-trans, o
coca–due trans; la tradizione di famiglia sarebbe continuata, insomma.
Ma il problema non era che non
aveva più una compagna, il problema era quella stramaledetta Volvo rossa.
Perché, in quel mese appena
trascorso, era riapparsa altre tre volte, non con intenti omicidi, no, era
riapparsa chiaramente per tormentarlo, e ogni volta alla guida c’era quella
maledetta vecchia.
Era forse un’allucinazione? (senso di colpa, no, senso di colpa mio non
ti conosco)
Negli altri avvistamenti aveva
notato un particolare assurdo: quella vecchiaccia incartapecorita aveva un dito
della mano destra ingessato, steccato per meglio dire.
Ma che senso aveva?
Una vecchia occhialuta e
imparruccata con in più un dito fratturato, ma che voleva dire?
Inoltre, se aveva dato ordine a
tutti di rintracciare quella cazzo di macchina, come mai quella aveva
liberamente girato per un mese a Lido di Ostia? Un macchinone svedese rosso
lungo più di quattro metri con a bordo una vecchiaccia?
Quindi, o i suoi uomini si erano
ammutinati perché qualcuno lo voleva fottere, oppure era tutto un cazzo di
miraggio, a parte Tabita spalmata sul marciapiede, quello non se l’era certo
sognato!
Fra l’altro, distinguere le
fantasie morbose dalla realtà diventava sempre più arduo, ultimamente c’era
un’idea balzana che gli si era ficcata nella mente e non se ne voleva più
andare via: sua sorella Lella, qualche giorno prima della sua triste dipartita,
si era chiusa l’indice della mano destra nella portiera della Volvo e quindi
AVEVA IL DITO STECCATO.
Ma non capiva se era un ricordo o
fosse una semplice fantasia, doveva iniziare a “farsi” di meno, doveva.
La decisione era presa: si buttò
sotto la doccia e aprì l’acqua fredda.
Erano le tredici e quarantacinque
quando il campanello di casa iniziò a suonare incessantemente e,
contemporaneamente, in camera da letto la suoneria dell’ i-Phone iniziò a suonare
l’ultimo motivetto dello spot pubblicitario di telefonia mobile più in voga in
quei giorni.
Ma Larry non era collassato a
letto, o no, era ben sveglio invece.
Il bottone per aprire la porta
d’ingresso di casa sua era situato ben lontano dalla porta stessa, in cima alle
scale che portavano al soppalco del primo piano, l’aveva fatto installare lì
per ovvi motivi di sicurezza e opportunità.
Azionato il comando, la porta
d’ingresso s’aprì e Incatramato e Polpetta entrarono, come avevano già fatto
centinaia di volte prima , Larry dal soppalco del primo piano aveva una buona
visuale di tiro e mirò con tutta calma, tenendosi bene la mano destra con la
sinistra e appoggiandosi sulla balaustra, la Glock 19 non fece troppo rumore
quando esplose cinque colpi in successione.
Incatramato e Polpetta cascarono
sul linoleum dell’ ingresso come due sacchi di patate, e iniziarono a gemere e
mugolare dopo cinque minuti buoni, quando le loro sinapsi trasmisero quello
che era successo, mentre il dolore si irradiava lentamente, ma
decisamente, in tutto il corpo; Larry scese le scale, li aggirò e chiuse a doppia
mandata il portoncino blindato d’ingresso.
Aveva mirato entrambi dal torace in giù e aveva fatto un buon
lavoro perché erano entrambi vivi, Incatramato era caduto a terra bocconi,
mentre Polpetta era a sedere appoggiato su un gomito, in una tipica posa da
spiaggia, come quando si prende il sole senza sdraiarsi del tutto sulla
schiena; in definitiva Polpetta era quello che aveva la visuale migliore e fu
quello il motivo che gli prolungò la vita di un buon quindici minuti.
STUNF-STUNF!
Due colpi alla testa, sparati da
dietro, e il buon vecchio Incatramato se n’era andato in un posto migliore, il
cranio era ridotto come un cocomero caduto dal cassone di un autocarro sull’asfalto:
pezzi di ossa del cranio con pelle e capelli impiastricciati di sangue sparsi a
ventaglio qua e là, e porzioni di cervello spalmate sul linoleum e un lago di
sangue che si andava allargando lentamente.
Intanto, l’espressione sul viso
di Polpetta ricordava quella dell’omino dell’ Urlo di Munch, i suoi bulbi
oculari si erano trasformati in due palline da ping-pong e sembravano voler
uscire fuori dalle orbite, Larry aveva l’impressione che adesso le sue parole sarebbero
state valutate con grande scrupolo.
-Ho la tua attenzione?
-C-cc-cosa? Cristo ssanto! Che cosa?!
-Ho la tua attenzione?
-Oddìo! Ma perché-perché?
-Non lo ripeterò una quarta
volta: HO LA TUA CAZZO D’ATTENZIONE ?!!!
-S-sì!Ss-sì! Ce l’ hai, ce l’
hai!
-Chi mi sta fottendo? Per chi lavorate,
brutti stronzi?!
-L-lella! Lella è tornata! Non volevo, te lo giuro ma
quella c’ ha fregati e…
Cap7 complotto
Larry iniziò a fare pulizia dentro casa, avrebbe potuto chiamare uno dei
ragazzi a fare il lavoro ma (primo) non si fidava più di nessuno e (secondo)
aveva bisogno di tenersi occupato per non affogare in un attacco di paranoia a
cinque stelle.
Iniziò con lo stendere i teloni
di plastica nera sul linoleum-ricapitolando:
Lella non era morta, aveva contattato
Incatramato e Polpetta tramite i suoi sgherri di fiducia-vi poggiò sopra i
due cadaveri trascinandoli, uno alla volta, per i piedi-si erano incontrati nel capanno degli attrezzi del cimitero, quindi
Incatramato e Polpetta l’avevano vista anche se-poi prese il mocio vileda e
si diede da fare per levare il sangue dal pavimento- il capanno era al buio e non si erano potuti avvicinare, ma la voce era
senz’altro quella di Lella-dovette strofinare parecchio, ma fu corroborante
perché gl’impedì di pensare al fatto che da un mese a quella parte s’iniettava
e fumava chissà quali sostanze nocive procurategli dai due traditori stesi sul
telone nero, tutta la manovalanza, tutta
la famiglia era rimasta agli ordini di Lella che stava solo aspettando il momento
giusto per vendicarsi di Larry.
Buttata via l’acqua sporca di
sangue e residui osseo-cerebrali, Larry imbustò col telone nero i due corpi.
Quindi Lella aveva pagato qualcuno per uccidere Tabita e per seguirlo
costantemente con la Volvo rossa, e chiaramente nessuno dei ragazzi aveva mosso
un dito per intercettare la vecchia sulla Volvo, dal momento che tutti stavano
eseguendo gli ordini di Lella!
Trascinò i due sacconi giù in cantina
e poi li buttò, con parecchia fatica, dentro il capiente congelatore, che
guarda caso era vuoto, niente pesci surgelati o bistecche, era proprio vuoto,
ma tu guarda che coincidenza ah ah!
Si mise a sedere sul divano
fumando una sigaretta, doveva riordinare le idee, fumava e si grattava-questo cazzo di prurito!- era da un mese
che vegetava, che non pensava, che non si rendeva conto di quello che gli stava
capitando intorno, un mese che non si guardava allo specchio…ma che c’entrava
lo specchio?
Salì come un pazzo su in camera
sua, con un orribile senso di presentimento che gli ghiacciava le ossa, si
precipitò alla porta del bagno (che era dentro la camera da letto) e la
spalancò, giunto davanti allo specchio rimase paralizzato a guardare l’immagine
di un uomo sconosciuto che a sua volta lo fissava a bocca aperta.
L’uomo che vedeva riflesso nello
specchio aveva occhiaie, rughe d’espressione, le guance butterate e un po’ di
calvizie incipiente che minacciava i capelli bianchi, un quarantacinquenne
nella norma, peccato che Larry
all’ultimo compleanno avesse festeggiato ventiquattro anni.
Lo stavano avvelenando da un mese
con chissà cosa, e lui era troppo “fatto”
per accorgersene.
Cap8 resa dei conti
Berretto nero calzato fin sulle orecchie,
occhialoni scuri, Larry uscì di casa e montò frettolosamente sull’auto di
Polpetta (una Fiat Idea grigio-topo), prima, in casa durante le pulizie, aveva
avuto il buon senso di requisire ai due cadaveri tutti gli effetti personali,
comprese le chiavi di quell’orribile Fiat.
Nella tasca destra del giacchetto
aveva la Glock con tutti i suoi quindici colpi, nella tasca sinistra aveva un
altro caricatore.
Lella era sempre stata una mente
sopraffina: dal momento che avevano cercato di farla morire di overdose, lei,
per contrappasso, si era premurata d’iniettare quotidianamente chissà che tipo
di merda nelle vene dell’adorato fratellino.
La Volvo Polar poi era stata un
tocco di classe: ti dico e non ti dico, e soprattutto ti distraggo bene bene
tenendoti la mente occupata su un dettaglio insignificante.
Già, ma come aveva fatto Lella a
sopravvivere? Polpetta era stato chiaro su questo punto: ricevuto l’ordine di
uccidere da Larry, lui e Incatramato andarono fino in fondo nell’eseguirlo,
senza alcuna remora.
Certo, quei due idioti non
avevano la laurea in medicina e forse avevano “certificato” la morte di sua
sorella troppo frettolosamente…
Avevano istruzioni di lasciare il
corpo di Lella in quel capannone, per farlo ritrovare alla “Pula”, andati i via
i due imbecilli…cosa diavolo era successo? Qualcuno aveva trafugato il
“cadavere”?
Poi c’era stato il
funerale…chiaramente finto, chissà cosa c’era dentro quella bara?!
Si diresse verso il cimitero di
Ostia Antica, a metà strada accostò l’auto sulla banchina, scese, vomitò.
Rimontò in macchina e guidò
alternando le due mani, dato che la mano che non reggeva il volante doveva
grattargli una guancia, oppure il naso, oppure la fronte, a rotazione.
Giunse finalmente in vista del
cimitero, parcheggiò e si avvicinò cercando di non dare nell’occhio.
Mancava poco alle venti e non
sapeva a che ora chiudevano il cancello, in realtà non sapeva nemmeno dov’era
questo capanno degli attrezzi, comunque il cimitero non era grande e lo avrebbe
senz’altro trovato.
Tutto sbarrato, tutto chiuso.
Risalì in auto e la parcheggiò il
più vicino possibile al muro di cinta, salì faticosamente sul tettuccio
dell’auto, dopo vari, patetici tentativi scavalcò quel dannato muro.
Era buio, il cimitero era
debolmente illuminato, l’aria era umida e c’era quel dannato odore di fiori
marci e di crisantemi, il brecciolino scricchiolava sotto le suole.
Non stava per niente bene,
sensazione di prurito a intermittenza, rimbambimento generale, probabilmente
dovuto ad una leggere febbre,(era più o meno da otto ore che non si “faceva” con chissà quale porcheria,
purtroppo i suoi sensi si stavano risvegliando) la sua vita era diventata una
merda senza senso e Larry s’immaginò di essere già all’inferno e di camminare
per sempre fra le tombe sentendo quell’odore disgustoso e con il brecciolino
che gli scricchiolava sotto le scarpe…
Poi vide la vecchia.
Era vestita tutta di rosso,
indossava una tuta da ginnastica acetata con delle strisce gialle, era gialla
anche la sua “cofanata” di capelli,
aveva spessi occhiali tondi con montatura di corno e degli orecchini pacchiani
che sembravano due lampadari.
Si avvistarono reciprocamente e
la vecchia iniziò a correre per scappare, Larry la seguì, momentaneamente
dimentico dei suoi acciacchi.
Alla fine la raggiunse davanti un
capanno in fondo al viale coi cipressi, non c’era un’anima viva intorno, era
proprio il caso di dirlo, il cielo era sgombro e la luna crescente offriva
un’illuminazione accettabile, Larry rallentò il passo e, ormai a cinque metri
dalla vecchia, tirò fuori la pistola.
Sentì una forte puntura dietro al
collo, si girò di scatto mentre la terra sotto i suoi piedi sembrava sempre
meno stabile e vide davanti a sé un uomo, le ginocchia gli si piegarono ma lui
rimase con gli occhi puntati verso quell’uomo che presumibilmente l’ aveva
punto con qualcosa, mentre il braccio teso che reggeva la pistola si faceva
sempre più pesante, prima di svenire riconobbe quel tizio: era Tancredi, quel frocetto di Tancredi, medico e, a tempo
perso, fidanzato della fu Lella.
Cap9.Buongiorno e buonanotte
Finalmente Larry aprì gli occhi.
Sbatté due o tre volte le palpebre.
Si sentiva la testa pesante,
aveva le idee confuse, gli sembrava di essere su una barca che rollava
dolcemente sul mare.
Luce, c’era troppa luce, era
sicuramente giorno, e allora quanto aveva dormito?
Poi si svegliò di botto e si rese
conto di essere bloccato, anzi paralizzato: poteva muovere il collo e le dita
ma non aveva il controllo totale del suo corpo, forse un effetto temporaneo di
chissà quale sostanza; era a sedere, era a sedere dentro un’automobile, ecco da
dove veniva quella sensazione di movimento!
Con la predestinazione della sua
morte imminente in bocca, cercò di guardare fisso davanti a sé, per capire la
direzione dell’automobile che ormai viaggiava a 90 km orari (l’acceleratore
doveva essere bloccato perché Larry era convinto di non essere lui a pestarlo),
e la vide: la vecchia casa dove avevano vissuto con mamma e papà Toni lo
squalo.
Quella bella casa in mattoni alla fine della
discesa.
Cento kilometri orari, adesso.
Pendenza, più velocità dell’auto, più solide
mura in mattoni: stava per assaggiare un cocktail davvero fatale.
Cambiare direzione? Provare a
sterzare?
Si accorse che lo sterzo aveva
infilato fra le razze un manico di scopa, e comunque lui ad azionare le braccia
non ce la faceva proprio. La casa si avvicinava sempre di più, la macchina
acquistava velocità e sembrava voler decollare da un momento all’altro,
l’impatto era imminente e non sarebbe stato indolore.
Diede un’ultima occhiata al
massiccio sterzo nero, nel cui centro campeggiava la beffarda scritta “VOLVO” e
poi si accorse che lo specchietto retrovisore non era nella giusta e normale
posizione di guida, no, era inclinato verso di lui, in maniera che vi si
potesse specchiare.
Vi si specchiò con un senso di
predestinazione: le rughe, il trucco pesante, gli occhiali con la montatura di
corno, muoveva il collo per cercare di vedere l’interezza del suo viso, i
capelli tinti biondi, e allora capì: era lui, lo era sempre stato, lui era la
vecchia!
Cap10.Buchi di sceneggiatura
La Volvo 240 Polar rossa percorse
tutta la discesa, acquistando progressivamente velocità, mantenne fino
all’ultimo la traiettoria iniziale e si schiantò finalmente contro una delle
colonne in mattoni del patio della villa, passando attraverso il cancello che
era stranamente aperto.
Lo schianto fu tremendo e si
propagò con facilità nel sonnacchioso sabato mattina di quel quartiere
residenziale di Ostia.
I due a bordo di quel Fiat Doblò
parcheggiato poco distante si goderono tutto lo spettacolo, poi, dopo lo
schianto, il Doblò partì e andò via.
Alla guida c’era Tancredi e nel
sedile del passeggero c’era la famigerata vecchia.
-E’ finita: hai avuto la tua
vendetta.
Esordì Tancredi.
-Sono stata troppo buona, me lo
diceva papà che la bontà era il mio punto debole…
-La bontà è uno dei tanti motivi
per cui mi sono innamorato di te.
-Pensavo grazie al mio bel culo
sodo e al mio viso d’angelo.
-Lella, ti prego, non
ricominciare…
-Non dovevi salvarmi, quando ti
ho chiamato col cellulare io…come potevo…come potevo anche lontanamente…
-Nessuno poteva immaginare! Io
sono corso da te con le fiale d’adrenalina e poi te l’ ho iniettata, ti ho
portato in clinica…dovevo salvarti a tutti i costi! Che diavolo ne potevo
sapere di quella nuova droga, di quella specie di Krocodil…?
-Guardami: ho ventisei anni e ne
dimostro quaranta di più! Larry ha fatto di più che uccidermi, mi ha dannata
per sempre, io sono all’inferno, L’ INFERNO E’ QUI, ADESSO!
Lella era partita con una delle
solite crisi isteriche, e a Tancredi ogni volta si stringeva il cuore.
C’era un’ambulanza stranamente
parcheggiata sul ciglio della strada.
-Tancredi, accosta, accosta
adesso!
-Va bene, va bene, calmati, sto
accostando!
Mentre finiva di sterzare, sentì
un dolore acuto al braccio destro, si girò verso Lella e la vide mentre gli
stava iniettando qualcosa con una siringa, la vista iniziò ad annebbiarsi,
mentre percepiva vagamente che la sua portiera veniva aperta da qualcuno.
Lo adagiarono su una lettiga e lo
caricarono in ambulanza, una voce proveniva da lontano:
–E’ l’unica maniera, Tancredi,
staremo sempre insieme, non potrai lasciarmi mai, staremo insieme per
l’eternità…
I giorni seguenti, la percezione
del giorno e della notte non fu del tutto chiara, dormiva spesso, anzi, lo
facevano dormire, una sola cosa era costante , sia che dormisse , sia che fosse
in dormiveglia, sia che avesse qualche barlume di lucidità: il prurito alla
pelle…
FINE
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