giovedì 14 maggio 2020

Unico indizio la luna piena_RECE by Raphael


by Bernie Wrightson

“Unico Indizio la Luna Piena”, il cui titolo originale era “Cycle of the Werewolf”, ovvero “Ciclo del Lupo Mannaro”, è unanimemente considerata una delle opere minori di Stephen King ma non per questo deve essere vista come un capitolo secondario o trascurabile della sua vasta produzione letteraria.
L’opera nacque inizialmente come singolare esperimento di calendario romanzato: per ogni mese dell’anno vennero realizzati un capitolo, ad opera dello stesso King ed un'illustrazione, per mano del disegnatore di fumetti Bernie Wrightson, già creatore di “Swamp Thing”.
Il progetto, però, fu presto abbandonato in favore di un volume dal formato classico, in cui parole ed immagini destinate al calendario si fusero, dando vita ad un’impronta narrativa più convenzionale.
La prima edizione di “Unico Indizio la Luna Piena” fu data alle stampe nel novembre 1983 dalla casa editrice Land of Enchantment, come edizione limitata con copertina rigida.
Nel 1985 il libro fu stampato dalla Signet in versione paperback (con copertina flessibile) e conobbe finalmente una diffusione capillare negli Stati Uniti, a cui seguì un ottimo successo di pubblico.
In Italia il romanzo venne pubblicato da quattro case editrici diverse: Longanesi, Salani, Tea Due e Club degli Editori. Tutte le differenti edizioni contenevano la riproduzione delle dodici tavole illustrate a colori ed in bianco e nero, ad eccezione della versione economica della Tea Due, completamente priva di immagini.
L’ultima edizione italiana, risalente ormai ad oltre un ventennio fa, è divenuta nel tempo oggetto del desiderio per molti collezionisti, in virtù della sua difficile reperibilità.
In questo romanzo breve Stephen King si incamminò su un sentiero per lui piuttosto inusuale: abituato a creare situazioni e figure completamente inedite, stavolta decise di misurarsi con una delle creature chiave dell’immaginario horror, quella del lupo mannaro.
Sostanzialmente intenzionato ad aggiornare una formula classica, come fece precedentemente e con maggiore incisività con quella del vampiro ne “Le Notti di Salem”, l’autore del Maine dette vita ad una storia lineare, estremamente semplice, per certi versi lontana dalla complessità narrativa dei suoi lavori degli anni ’70.
Calato a dovere in un’atmosfera sospesa nel tempo, “Unico Indizio la Luna Piena” assumeva i connotati di una novella macabra, dando vita ad un episodio davvero singolare dal punto di vista formale nell'ambito dei lavori di Stephen King.

by Enzo Sciotti

L’11 ottobre del 1985 uscì nei cinema degli Stati Uniti l’adattamento cinematografico del romanzo, con il titolo “Silver Bullet”, ovverosia pallottola d’argento. Il lungometraggio si classificò al 69º posto tra i primi 100 film di maggiore incasso usciti nel 1985, con un introito al botteghino americano superiore ai 12 milioni di dollari.
La pellicola fu distribuita in Italia il 28 marzo 1986 col titolo “Unico Indizio la Luna Piena”, lo stesso attribuito tre anni prima al romanzo: anche qui la trasposizione riscosse un buon successo, classificandosi al 62º posto tra i primi 100 film di maggiore incasso della stagione cinematografica italiana 1985-1986.
Diretto dall’esordiente Daniel Attias, il film annoverava fra i suoi protagonisti un giovanissimo Corey Haim, attore canadese purtroppo scomparso prematuramente nel 2010, Gary Busey, Everett McGill, Megan Follows e Terry O’Quinn.



Everett McGill

La trama del film non si discostava troppo da quella del libro: ambientato nella primavera del 1976, narrava le vicende di Marty Coslaw, un ragazzino costretto sulla sedia a rotelle che viveva con i genitori e la sua sorella maggiore Jane a Tarker's Mills, una tranquilla cittadina rurale del Maine.
Molto presto le loro vite e quelle degli altri abitanti del posto si sarebbero trovate di fronte ad una drammatica svolta, a causa di una serie di atroci omicidi avvenuti durante le notti di luna piena.
Soltanto il coraggio dei giovani protagonisti e del loro stravagante zio Red avrebbe permesso alla sanguinosa vicenda di trovare finalmente un lieto fine.

Il film, seppur in tono minore, si inseriva con pieno diritto nel filone che grazie a titoli come “Un Lupo Mannaro Americano a Londra” di John Landis, “L’Ululato” di Joe Dante e “Wolfen – La Belva Immortale” di Michael Wadleigh, aveva donato nuova linfa vitale al mito del licantropo nei primi anni ’80.
Il principale punto di forza della pellicola era rappresentato dall’interpretazione magistrale del sottovalutato Corey Haim (Marty Coslaw), perfettamente a suo agio in un ruolo non semplice. Sempre spontaneo, naturale e genuino, riuscì a regalare al pubblico una performance davvero degna di nota.
Corey Haim

Validi attori di contorno come Gary Busey (il simpatico zio Red) ed Everett McGill (il reverendo Lester Law), oltre alle buone musiche del bravo Jay Chattaway ed all’elegante fotografia di Armando Nannuzzi, rendevano il film un prodotto di sicuro interesse, compensando degli effetti speciali supervisionati da Carlo Rambaldi non sempre efficaci.
Le locandine ed i manifesti utilizzati per la promozione del film, al momento della sua diffusione nelle sale italiane, furono realizzati dall'illustratore Enzo Sciotti: la tavola principale del poster cinematografico venne utilizzata anche per la copertina del libro.
Semplicità, eleganza formale, lungimiranza nel casting, unite ad uno sviluppo narrativo di stampo classico, erano gli elementi principali che decretarono il successo di questa piccola fiaba del brivido, oggi punto di partenza ideale per la riscoperta del sottobosco horror letterario e cinematografico anni ’80 da parte delle nuove generazioni.
by Bernie Wrightson

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