di Mauro Nigro
“Io non Faccio queste cose!”
Disse Lui.
“Quali cose?”
Chiese Lei.
“Questo modo di scrivere. Non mi
appartiene!”
“Ah…” fece Lei con tono quasi
rassegnato.
“Non ci riesco” continuò Lui in
tono lamentoso “Io non ci riesco a mettere in piazza le mie cose, a
descriverle con tanta minuzia di particolari, così, solo come
espediente narrativo!”
“Ho capito.” Constatò Lei “ Te
la sei presa per il riferimento sulle emorroidi…”
“No-no. Anzi, era molto divertente
quello. E non mi riferisco solo a te. Ne conosco un sacco di gente
che fa così, anzi, quasi tutti quelli che conosco, e che scrivono,
fanno così. Scrivono dei loro dissidi personali, delle loro piccole
disavventure, cercando così di dargli una dignità letteraria,
supponendo che a chi legge importi una stramazza se il lui o la lei
di turno se li fila, o quanto siano antipatici e populisti i tizi che
gli sono davanti in posta, o come siano rimasti incantati dalla
pozzanghera piuttosto che da una cacata per strada. Non funziona
così!”
“Non funziona così per te!” ribatté
Lei, ora chiaramente innervosita.
“No. Non funziona così e basta!
Non posso prendere e scrivere delle mie debolezze, dei miei difetti,
e cercare di ridipingerli sotto una nuova luce, così, "inaudita altera parte", costruendomi un bellissimo altare in cui, che io sia
sconfitto e triste e bistrattato , o vissuto e maledetto e
puttaniere… zoccola nel caso delle donne…. anche se è poco
letterario…come possiamo indorare la pillola…ecco…FEMME FATALE…
, insomma che colui che scrive ne esca sempre sotto una luce
incredibile, una spotlight della madonna, che Cristina Aguilera e
Lady Gaga se la sognano. E sì che sono due puttanoni mica male…ehm
femme fatale…”
“Sai che sei un tantinello pesante?”
chiese retoricamente Lei, dopo aver vistosamente e sonoramente
sbuffato.
“Certo che lo so!” Fece Lui pronto
“Ho un carattere di merda, mi fossilizzo, tendenzialmente sono un
Nerd. A maggior ragione mi guardo bene dallo scrivere di me, della
mia vita, e delle piccole disavventure. Solo magari per
giustificare i miei gusti, i miei errori, le mie tendenze. È facile
così! Per farti capire….te li ricordi i Walkie Talkie, il gruppo
hip hop del mese scorso, allo Steaua? C’eri anche tu, no, quella
sera?”
“Mmsi…” la risposta di Lei,
forzata, si percepì appena con tutto il rumore che c’era. Ma Lui
era già lanciato, e stava già continuando la sua arringa d’un
fiato, come ciclista su ripida salita.
“E’ facile farti il togo su un
palco, con la tavola già pronta, e far passare per intelligente
qualsiasi cosa ti giri, cercando di ridicolizzare gli altri,
rendendoti “intelligente persona” pure quando ti scopi la tipa
del tuo amico, che all’istante diventa zoccoletta deficiente. Io ne
ho fatte di cose che non si dovrebbero fare, ma mica me le vanto, o
cerco di dargli una dignità.
Cavolo! Manco il nano malefico arriva a
questi livelli!
La verità è che ci vuole ben altro!”
Calò il silenzio fra i due. E il
silenzio fu riempito dal crescente rumore di fondo. Come a riempire
un vuoto, una distanza sempre maggiore che li allontanava. Quasi un
finale dichiarato.
Lei, che gli dava le spalle, si voltò,
e Lo guardò dritto negli occhi.
Lo sguardo di Lui, fermo, immobile, al
centro della stanza, sembrava implorare, supplicare, che Lei facesse
quella domanda.
E Lei, cominciando a girargli attorno,
la fece.
Deliberatamente e provocatoriamente,
avvicinandosi, non usò il condizionale.
Lui guardò altrove. Cercava
disperatamente, con lo sguardo, qualcosa fuori dalle finestre, piene
di luce, nonostante la notte fosse molto inoltrata.
Ebbe un fremito, un guizzo di energia
che attraversò i suoi occhi. E volse il viso verso di Lei.
Sostenendo, fiero e deciso, la sfida oculare.
E diede la sua risposta.
La voce ancora titubante sulle prime,
ma poi sempre più forte. Meno giovanile e più mascolina, passando
da un grido sconfortato, dallo stridere della disperazione, alla
fermezza ed al calore del timbro.
“Serve una storia. Più o meno
valida. Ma una storia.
Un qualcosa che, almeno parzialmente,
abbia un inizio ed una fine.
Qualcosa che sia davvero interessante
da raccontare.
Che non sia un bieco tentativo di
rendere interessanti cose che non lo sono.
Non l’universalizzazione di piccoli
temi personali.
Ma il raccontare grandi storie
universalizzabili!
Basta con il creare notizie dove non ce
ne sono.
Basta con i particolari inutili.
Con gli esercizi di stile!
Con gli appagamenti di pruriti beceri
per distogliere dalla mancanza di sostanza!
Basta con personaggi poco solidi,
passeggeri, cloni e mediocri.
Mediocri per di più esaltati come
esempi!
Ci vuole una storia.
Che sia pensata per essere iniziata e
per essere finita.
Che abbia uno sviluppo ed una fine!
Non una semplice cronaca!
Un piccolo diario!
No.
Basta.
Ci vuole qualcosa di più!
Più delle fiction e delle serie tv
spacciate per capolavori e trascinate avanti a fatica da
sceneggiatori che non osano, per dare in pasto ad un pubblico che
vuol essere rassicurato, la stessa merda allungata con acqua fin
tanto che fa audience!”
Di frase in frase il fervore sul viso
di Lei cresceva esponenzialmente, di pari passo con l’ampiezza
dell’apertura della sua bocca, che progressivamente vedeva il mento
calare verso il basso in una smorfia di rabbia stupita.
“Ci vuole qualcosa di più dei
remake!” continuò lui “ va bene che si raccontano da tremila
anni le stesse tre storie, ma cazzo, le variazioni sono infinite. E
variamo allora!
Ci vuole di più delle trasmissioni tv
di revival delle trasmissioni tv!
Più delle celebrazioni di mediocri che
vanno ricordati dopo morti!
Più delle adulazioni di cantanti,
registi e poeti, che odiavano le adulazioni, e che, dopo morti, sono
diventati infallibili e patrimonio di tutti, mentre in vita,
poveracci, erano estremi partigiani, e di stronzate ne hanno dette un
bel po’ anche loro!
Tutto questo non ha senso!
Non ha capo!
Non ha coda!
La vita è fluire!
È continuità!
IL RACCONTO NO!
IL RACCONTO DEVE AVERE UNA STORIA!
Determinata!
Efficace!
IL RACCONTO DEVE AVERE UNA FINE!”
E tacque.
Lei richiuse la bocca quasi di scatto,
indietreggiando le spalle, come dopo un’offesa inaspettata od una
stoccata di fioretto.
Sembravano trattenere il fiato
entrambi, mentre i rumori dall’esterno diventavano più concitati.
Si udì una voce amplificata provenire da fuori, ma presi dal
momento, occhi negli occhi, entrambi la ignorarono.
“Sì…Deve avere una fine…” disse
Lei, la sua voce quasi il sibilo di un proiettile in viaggio verso il
suo bersaglio.
Mosse dal muro di fianco alla porta
d’ingresso, dove era arrivata spintonata moralmente dai fendenti
vocali di Lui. Si avvicinò a grandi passi verso la sedia su cui l’interlocutore era piazzato ormai da ore.
Lui chiuse gli occhi. E rimase in
attesa.
E fu un attimo.
Quando Lei fu a metà strada, dopo due
passi circa, i corpi d’assalto fecero irruzione.
Prima dalla porta, costringendola a
voltarsi per la sorpresa.
E subito dopo dalla finestra, sulla sua
sinistra.
In una frazione di secondo Lei si
ritrovò con un fucile a pompa puntato sul naso.
Il braccio destro paralizzato,
parallelo al corpo, tenuto giù dal peso nella mano.
Ma, per quanto veloce, il poliziotto
non era riuscito a mettersi in mezzo nella traiettoria fra Lei e Lui.
Lei distolse lo sguardo dal buco nero
della canna e guardò Lui, ancora bloccato dalle corde, ancorato alla
spalliera ed ai piedi della sedia.
Lo guardò dritto negli occhi.
“Mi dispiace…Ma era inevitabile…”
disse Lui.
“E questo ti sembra un finale
accettabile?” chiese Lei.
Lei sollevò la Glock calibro 9 verso
di Lui.
E furono lampi e detonazioni.
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