lunedì 21 luglio 2014

Disse Lui chiese Lei

DISSE LUI CHIESE LEI
di Mauro Nigro

“Io non Faccio queste cose!”
Disse Lui.
“Quali cose?”
Chiese Lei.
“Questo modo di scrivere. Non mi appartiene!”
“Ah…” fece Lei con tono quasi rassegnato.
“Non ci riesco” continuò Lui in tono lamentoso “Io non ci riesco a mettere in piazza le mie cose, a descriverle con tanta minuzia di particolari, così, solo come espediente narrativo!”
“Ho capito.” Constatò Lei “ Te la sei presa per il riferimento sulle emorroidi…”
“No-no. Anzi, era molto divertente quello. E non mi riferisco solo a te. Ne conosco un sacco di gente che fa così, anzi, quasi tutti quelli che conosco, e che scrivono, fanno così. Scrivono dei loro dissidi personali, delle loro piccole disavventure, cercando così di dargli una dignità letteraria, supponendo che a chi legge importi una stramazza se il lui o la lei di turno se li fila, o quanto siano antipatici e populisti i tizi che gli sono davanti in posta, o come siano rimasti incantati dalla pozzanghera piuttosto che da una cacata per strada. Non funziona così!”
“Non funziona così per te!” ribatté Lei, ora chiaramente innervosita.
“No. Non funziona così e basta! Non posso prendere e scrivere delle mie debolezze, dei miei difetti, e cercare di ridipingerli sotto una nuova luce, così, "inaudita altera parte", costruendomi un bellissimo altare in cui, che io sia sconfitto e triste e bistrattato , o vissuto e maledetto e puttaniere… zoccola nel caso delle donne…. anche se è poco letterario…come possiamo indorare la pillola…ecco…FEMME FATALE… , insomma che colui che scrive ne esca sempre sotto una luce incredibile, una spotlight della madonna, che Cristina Aguilera e Lady Gaga se la sognano. E sì che sono due puttanoni mica male…ehm femme fatale…”

“Sai che sei un tantinello pesante?” chiese retoricamente Lei, dopo aver vistosamente e sonoramente sbuffato.

“Certo che lo so!” Fece Lui pronto “Ho un carattere di merda, mi fossilizzo, tendenzialmente sono un Nerd. A maggior ragione mi guardo bene dallo scrivere di me, della mia vita, e delle piccole disavventure. Solo magari per giustificare i miei gusti, i miei errori, le mie tendenze. È facile così! Per farti capire….te li ricordi i Walkie Talkie, il gruppo hip hop del mese scorso, allo Steaua? C’eri anche tu, no, quella sera?”
“Mmsi…” la risposta di Lei, forzata, si percepì appena con tutto il rumore che c’era. Ma Lui era già lanciato, e stava già continuando la sua arringa d’un fiato, come ciclista su ripida salita.
“E’ facile farti il togo su un palco, con la tavola già pronta, e far passare per intelligente qualsiasi cosa ti giri, cercando di ridicolizzare gli altri, rendendoti “intelligente persona” pure quando ti scopi la tipa del tuo amico, che all’istante diventa zoccoletta deficiente. Io ne ho fatte di cose che non si dovrebbero fare, ma mica me le vanto, o cerco di dargli una dignità.
Cavolo! Manco il nano malefico arriva a questi livelli!
La verità è che ci vuole ben altro!”
Calò il silenzio fra i due. E il silenzio fu riempito dal crescente rumore di fondo. Come a riempire un vuoto, una distanza sempre maggiore che li allontanava. Quasi un finale dichiarato.
Lei, che gli dava le spalle, si voltò, e Lo guardò dritto negli occhi.
Lo sguardo di Lui, fermo, immobile, al centro della stanza, sembrava implorare, supplicare, che Lei facesse quella domanda.
E Lei, cominciando a girargli attorno, la fece.
“E cosa ci vuole?”


Deliberatamente e provocatoriamente, avvicinandosi, non usò il condizionale.
Lui guardò altrove. Cercava disperatamente, con lo sguardo, qualcosa fuori dalle finestre, piene di luce, nonostante la notte fosse molto inoltrata.
Ebbe un fremito, un guizzo di energia che attraversò i suoi occhi. E volse il viso verso di Lei. Sostenendo, fiero e deciso, la sfida oculare.
E diede la sua risposta.
La voce ancora titubante sulle prime, ma poi sempre più forte. Meno giovanile e più mascolina, passando da un grido sconfortato, dallo stridere della disperazione, alla fermezza ed al calore del timbro.
“Serve una storia. Più o meno valida. Ma una storia.
Un qualcosa che, almeno parzialmente, abbia un inizio ed una fine.
Qualcosa che sia davvero interessante da raccontare.
Che non sia un bieco tentativo di rendere interessanti cose che non lo sono.
Non l’universalizzazione di piccoli temi personali.
Ma il raccontare grandi storie universalizzabili!
Basta con il creare notizie dove non ce ne sono.
Basta con i particolari inutili.
Con gli esercizi di stile!
Con gli appagamenti di pruriti beceri per distogliere dalla mancanza di sostanza!
Basta con personaggi poco solidi, passeggeri, cloni e mediocri.
Mediocri per di più esaltati come esempi!
Ci vuole una storia.
Che sia pensata per essere iniziata e per essere finita.
Che abbia uno sviluppo ed una fine!
Non una semplice cronaca!
Un piccolo diario!
No.
Basta.
Ci vuole qualcosa di più!
Più delle fiction e delle serie tv spacciate per capolavori e trascinate avanti a fatica da sceneggiatori che non osano, per dare in pasto ad un pubblico che vuol essere rassicurato, la stessa merda allungata con acqua fin tanto che fa audience!”
Di frase in frase il fervore sul viso di Lei cresceva esponenzialmente, di pari passo con l’ampiezza dell’apertura della sua bocca, che progressivamente vedeva il mento calare verso il basso in una smorfia di rabbia stupita.
“Ci vuole qualcosa di più dei remake!” continuò lui “ va bene che si raccontano da tremila anni le stesse tre storie, ma cazzo, le variazioni sono infinite. E variamo allora!
Ci vuole di più delle trasmissioni tv di revival delle trasmissioni tv!
Più delle celebrazioni di mediocri che vanno ricordati dopo morti!
Più delle adulazioni di cantanti, registi e poeti, che odiavano le adulazioni, e che, dopo morti, sono diventati infallibili e patrimonio di tutti, mentre in vita, poveracci, erano estremi partigiani, e di stronzate ne hanno dette un bel po’ anche loro!
Tutto questo non ha senso!
Non ha capo!
Non ha coda!
La vita è fluire!
È continuità!
IL RACCONTO NO!
IL RACCONTO DEVE AVERE UNA STORIA!
Determinata!
Efficace!
IL RACCONTO DEVE AVERE UNA FINE!”
E tacque.
Lei richiuse la bocca quasi di scatto, indietreggiando le spalle, come dopo un’offesa inaspettata od una stoccata di fioretto.
Sembravano trattenere il fiato entrambi, mentre i rumori dall’esterno diventavano più concitati. Si udì una voce amplificata provenire da fuori, ma presi dal momento, occhi negli occhi, entrambi la ignorarono.
“Sì…Deve avere una fine…” disse Lei, la sua voce quasi il sibilo di un proiettile in viaggio verso il suo bersaglio.
Mosse dal muro di fianco alla porta d’ingresso, dove era arrivata spintonata moralmente dai fendenti vocali di Lui. Si avvicinò a grandi passi verso la sedia su cui l’interlocutore era piazzato ormai da ore.
Lui chiuse gli occhi. E rimase in attesa.
E fu un attimo.
Quando Lei fu a metà strada, dopo due passi circa, i corpi d’assalto fecero irruzione.
Prima dalla porta, costringendola a voltarsi per la sorpresa.
E subito dopo dalla finestra, sulla sua sinistra.
In una frazione di secondo Lei si ritrovò con un fucile a pompa puntato sul naso.
Il braccio destro paralizzato, parallelo al corpo, tenuto giù dal peso nella mano.
Ma, per quanto veloce, il poliziotto non era riuscito a mettersi in mezzo nella traiettoria fra Lei e Lui.
Lei distolse lo sguardo dal buco nero della canna e guardò Lui, ancora bloccato dalle corde, ancorato alla spalliera ed ai piedi della sedia.
Lo guardò dritto negli occhi.
“Mi dispiace…Ma era inevitabile…” disse Lui.
“E questo ti sembra un finale accettabile?” chiese Lei.
Lei sollevò la Glock calibro 9 verso di Lui.
E furono lampi e detonazioni.



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